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26 Feb 2015

Marcucci: così nascerà la maxi-Authority con i super-poteri

 

Botta e risposta sulla riforma dei porti con uno dei "saggi" chiamati dal ministro per scrivere le nuove regole della portualità

 

Bisogna smetterla di immaginare il porto come un'appendice della città. Caccia grossa di finanziamenti sulla ruota di Firenze, di Roma e di Bruxelles, pensando poi di considerarli cosa propria gestendoli in chiave locale? No, non sarà questo l'identikit dei porti che uscirà dalla "riforma della riforma". Quantomeno non è quel che i "saggi" hanno suggerito al ministro Lupi e al governo Renzi. Parola di uno dei "saggi": Nereo Marcucci, livornese, classe 1946, compleanno nello stesso giorno di Leo Messi, Cesare Romiti e Giancarlo Pajetta, presidente dell'Authority labronica per otto anni dal '95, poi nel team di vertice di un big come Contship e ora numero uno di Confetra (che raggruppa 32.000 imprese di logistica).

Ma stavolta non vuol circoscrivere lo sguardo a quel che accade dalla Bellana allo Scolmatore, neanche adesso che è tornato ad avere un ruolo nella nostra città (come superconsulente dei portuali, come consigliere in Sintermar, come officiante dell’alleanza fra Neri-Negri e le coop Cft-Compagnia): nel menu, dunque, c’è quel che nel conclave romano dei “saggi” ha visto arrivare all’orizzonte della portualità italiana (e perciò con riflessi fortissimi anche sulle nostre banchine).

Il cuore della riforma è un ribaltamento, dice lui. Potrebbe suonare così: non si parlerà più di porto di Livorno bensì della Livorno del porto. Tradotto: i porti identificati come “core” (cioè d'interesse europeo, e fra questi Livorno) saranno visti come «la porta del mercato europeo«. Dunque, sarà l'Europa a canalizzare il grosso dei finanziamenti ma anche a dettare il tempo. Anche perché la funzione di questo stock di porti principali è quella di servire non la città che hanno alle spalle quanto semmai il mercato sub continentale: nel caso di Livorno, il Sud Europa in entrata/uscita, compresi i collegamenti con la sponda nordafricana e quella al di là dell'Atlantico, in particolare con quella statunitense com'è tradizione da un paio di secoli.

«Bisogna uscire dalla fase attuale – dice Marcucci – dalla fase in cui ciascun porto elabora il suo bel progetto e si affida ai propri santi in paradiso, anzi in Parlamento e al governo, per strappare una leggina che tiri fuori i soldi. Invece no: è assolutamente indispensabile una regìa nazionale, altrimenti ci sarà un moltiplicarsi impazzito di progetti infrastrutturali».

C'era una volta la legge sulla portualità che, rifinanziata a più riprese, serviva perlomeno a dare l'idea di un riparto abbastanza ordinato della "torta" dei fondi…

«Era una gerarchia alla quale in genere si derogava sulla base della cantierabilità delle opere. Livorno, quand'ero all'Authority, riuscì a canalizzare qui risorse per oltre 470 miliardi di vecchie lire».

Auspica un ritorno a quel sistema?

«Occorre andare più avanti, c'è bisogno di selezionare i porti sui quali concentrare le risorse. Come? Unificando i fondi nelle mani del ministero o direttamente di Palazzo Chigi».

E quel che è già in pista?

«Serve comunque un ordine di priorità, se è vero che fra progettazioni giunte alla fase esecutiva e quel che è poco più di una idea stiamo parlando di un pacchetto da 14 miliardi di euro. Ma è soprattutto l'Europa a chiederci di smetterla con la spesa un po' qua e un po' là: metteranno sul tavolo tanti soldi, però esigono efficacia per far "girare" il motore del mercato europeo».

Il vincolo esterno europeo, un po’ come per Maastricht...

«Sembra l’unico modo per costringere il nostro Paese a modernizzarsi».

L'Inghilterra, dalla Thatcher in poi, ha lasciato andare in malora parti intere del suo sistema industriale per ristrutturare la propria economia come una delle piazze finanziarie del pianeta: ha deciso che mestiere voleva fare nella divisione internazionale del lavoro. L'Italia no: eppure non ci vuol molto a vedere la penisola come un "molo" che l'Europa protende nel Mediterraneo…

«Dovrebbe essere il nostro Paese la via attraverso la quale la merce in arrivo dall'Estremo Oriente entra in Europa risparmiando sei-sette giorni di navigazione. Invece, al contrario, una tonnellata su dieci della merce che arriva in Italia passa dai porti del Nord Europa: stiamo parlando di 45 milioni di tonnellate e 1,2 milioni di teu».

Praticamente il secondo porto italiano è fra Rotterdam e Amburgo...

«È una perdita di ricchezza che l’organizzazione degli spedizionieri ha stimato, mi pare di ricordare, attorno ai venti miliardi di euro. Ecco è qui che la riforma vuol intervenire: e la “cabina” di regia nazionale è solo il primo pilastro di un sistema da ridisegnare».

E gli altri, dove sono?

«Mi riferisco alle Ferrovie: le Fs dicono che prevedono l’offerta di treni là dove c’è domanda, c’è da ribaltare quest’impostazione. Poi...».

Poi cosa?

«C’è un’accoppiata di pilastri è data dalla nuova fisionomia tanto dell’Agenzia delle Dogane quanto delle Fs e soprattutto delle Autorità Portuali. Finora hanno coordinato il lavoro di una pluralità di soggetti pubblici: dovranno invece essere sovraordinate, cioè comandare (o, se vogliamo, guidare) ciascuna tutte le altre amministrazioni».

Sovraordinata: sembra un busillis tutto giuridico. Faccia un esempio concreto.

«L’ultimo ok al Prg portuale, con la conclusione in comitato portuale riunito come conferenza dei servizi, avrà l’effetto di cambiare il Prg della città, e di farlo senza altri passaggi. Quanto ai dragaggi, ad esempio, abbiamo segnalato che è indispensabile una moratoria e l’unica soluzione nel breve termine è ripristinare quel che c’era prima del 2000: la possibilità di sversare i fanghi in mare».

Alla faccia dell’ambiente...

«Mi faccia aggiungere che ovviamente sarebbero fatte salve le cautele ambientali per materiali inquinati. E comunque a Livorno no: rientriamo nel perimetro di un accordo internazionale del “Santuario dei cetacei”».

Torniamo alle Autorità Portuali. Finalmente avranno l’autonomia finanziaria, si spera...

«Io metterei l’accento soprattutto sull’autonomia impositiva. Ma con un meccanismo che si basi su sconti concorrenziali e spingere i porti a cannibalizzarsi l’un l’altro. Semmai potrebbe essere la molla per incentivare comportamenti virtuosi: chi adopera la ferrovia o chi usa carburanti ecologici, tanto per fare due esempi. C’è anche un’altra novità sui servizi tecnico-nautici, sulla quale però c’è contrasto: è possibile pagare meno i costi dei rimorchiatori se almeno per quanto riguarda l’aspetto del presidio di sicurezza ne pagano tutti una piccola quota. Del resto, non è forse vero che la presenza del rimorchiatore è anche per chi non lo usa un fattore di sicurezza in caso di emergenza?».

Occhi puntati anche sulla possibilità di trasformare le Autorità Portuali in società per azioni: potrebbe aiutarle a essere più dinamiche?

«È un orizzonte sul quale si rischia di scatenare una guerra di religione senza aver ben valutato i pro e i contro. Del resto, non è mica vero che i privati non siano nei porti: lo sono nei terminal e nelle operazioni portuali, nei servizi tecnico-nautici, nel trasporto. Figuriamoci se sono contrario ai privati ma segnalo che restano in mano a soggetti pubblici solo funzioni statuali che non vengono delegate a nessuno in nessun Paese europeo». Leggi tutta la notizia

 

Fonte: Mauro ZucchelliIL TIRRENO

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