Cerca Aziende di:
27 Lug 2018
«Lavorare per loro era un ricatto non detto. I turni duravano in media 12 ore, e se non facevi lo straordinario ti facevano capire che ti avrebbero lasciato a casa. Ho dovuto accettare perché ho due figli da mantenere». Di dichiarazioni come quelle rese da questo lavoratore, i finanzieri di Pavia ne hanno raccolte a centinaia. Quasi 400 le persone sfruttate da una rete di cooperative e consorzi nell’area logistica di Stradella, in Oltrepò Pavese, occupate principalmente nel campo del confezionamento e imballaggi. I dodici «caporali» sono finiti in manette venerdì mattina: dovranno rispondere dei reati di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, intermediazione illecita di manodopera e sfruttamento del lavoro approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.
Sfruttamento ed evasione milionaria in una rete fittissima di società, oltre 40, pilotata da pochi «caporali», che ha evaso 5.8 milioni di euro di tasse e non ha versato oltre 9 milioni di euro di contributi ai lavoratori. Oltre agli arresti il gip ha disposto il sequestro di beni mobili ed immobili in tutta Italia, per 14 milioni di euro. Le indagini della Guardia di Finanza di Pavia erano partite nell’aprile 2017, a seguito delle denunce di alcuni lavoratori che, dopo pochi giorni dentro i capannoni di Stradella, si erano ribellati e avevano deciso di vuotare il sacco. «I ritmi erano frenetici. Se facevi meno di 130 righe (la riga era l’unità produttiva, ndr) partivano con le minacce di licenziarti. Lo straordinario non era imposto, ma se non lo facevi venivi tagliato fuori».
I dipendenti venivano reclutati da una società interinale romena e poi classificati con gli emoticon. Sui computer dei capi delle 40 cooperative smascherate sono state trovate le liste dei lavoratori con il giudizio sulla loro condotta: chi non faceva storie, non diceva mai «no» agli straordinari, e accettava di lavorare senza ferie e giorni di riposo, si meritava una faccina sorridente; a quelli che reclamavano per lo stipendio troppo basso e timbravano il cartellino allo scadere delle otto ore giornaliere, mettevano invece il pollice verso o l’espressione arrabbiata.
«Se ti sta bene è così, altrimenti te ne puoi andare», questa la frase più utilizzata per tagliare corto con chi osava opporsi al sistema di sfruttamento. Erano i capi dell’organizzazione che, con l’aiuto di collaboratori, stabilivano quali lavoratori tenere, quali dovevano essere allontanati, quali dovevano essere impiegati in turni e incarichi massacranti da farli rinunciare al lavoro. Non solo, spesso, da quegli stipendi da fame che non arrivavano ai 1000 euro, i dipendenti dovevano levare determinate somme da restituire ai propri «caporali».
Fonte: CORRIERE DELLA SERA - MILANO