Cerca Aziende di:
07 Set 2018
C’è una prima lineare visione investigativa, a tre settimane dal disastro: il crollo del Ponte Morandi è una strage provocata dalla carenza di manutenzione. È questa la convinzione che tiene in piedi la nuova e al momento più pesante ipotesi di accusa: omicidio stradale, reato colposo di recente introduzione, punito con pene più severe.
I magistrati hanno iscritto sul registro degli indagati venti persone: si tratta di top manager e tecnici di Autostrade per l’Italia e di alti dirigenti del ministero delle Infrastrutture che hanno seguito il tormentato progetto di “retrofitting” dell’infrastruttura e, dunque, avevano a disposizione informazioni sufficienti per impedire quanto accaduto. I pm genovesi hanno indagato anche Autostrade per l’Italia, attraverso la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti. Fra gli indagati di Autostrade ci sono: l’amministratore delegato Giovanni Castellucci, il direttore centrale operazioni Paolo Berti, il responsabile Maintenance Michele Donferri Mitelli (che si è occupato del Morandi per quasi trent’anni), il direttore del tronco di Genova Stefano Marigliani, il suo predecessore Riccardo Rigacci, Paolo Strazzullo, responsabile unico del progetto di “retrofitting”.
Con loro sono indagati anche gli alti dirigenti e tecnici ministeriali che hanno avuto a che fare con la ristrutturazione del ponte (di cui nessuno ha mai chiesto la chiusura). Il dirigente di più alto livello è Vincenzo Cinelli, responsabile della Direzione generale vigilanza autostradale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: laureato in scienze politiche, fu nominato il 14 agosto del 2014 su proposta dell’ex ministro Graziano Delrio e confermato dal suo successore Toninelli.
Le chat sui tiranti
Nella lista ci sono inoltre il dirigente di divisione della vigilanza Bruno Santoro, il capo dell’ufficio ispettivo territoriale Carmine Testa, il provveditore alle opere pubbliche di Piemonte, Liguria e Val d’Aosta Roberto Ferrazza. Nelle prossime ore sarà formalizzata anche la richiesta di incidente probatorio e il coinvolgimento amministrativo di Autostrade, che potrebbe essere notificato anche al presidente Fabio Cerchiai. Autostrade e Ministero erano a conoscenza del pessimo stato i cui versavano gli stralli del Morandi (i tiranti diagonali in acciaio). È la tesi degli inquirenti, coordinati dai pm Paolo D’Ovidio, Massimo Terrile e Walter Cotugno, e dal colonnello della Finanza Ivan Bixio. La gravità della situazione era nota almeno dal 2015, quando Autostrade commissionò una consulenza alla società specializzata Cesi, dall’esito molto critico. Un secondo parere, firmato dal Politecnico di Milano nel 2017, aggiunge anche un invito a installare sensori. Nel frattempo il progetto viene discusso nel cda di Autostrade, dove si sottolinea come «la priorità» sia la «sicurezza», e poi sottoposto al Ministero. Nonostante questo, e cinque lettere di sollecitazione di Donferri, il progetto si perde nei rimpalli burocratici, e non assume mai carattere d’urgenza. I documenti formali, insomma, dicono meno di quanto temevano gli stessi tecnici, come confermano le prime analisi delle chat: prima del crollo ci sono cenni «interessanti» alle criticità del ponte.
Sono due i tipi di disastro ipotizzati: uno legato al crollo e l’altro all’attentato alla sicurezza dei trasporti. C’è, infine, un ulteriore reato contestato: l’omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione delle regole antinfortunistiche. Sul Ponte Morandi, infatti, vi era un cantiere aperto, e la morte di 43 persone, sebbene non vi lavorassero, qualifica la tragedia anche come un incidente sul lavoro. Non è un passaggio secondario perché è il collegamento che consente la citazione di Autostrade: «L’ipotesi di omicidio stradale - spiega Cozzi - è basata sull’assunto che la sicurezza stradale non comprende soltanto il rispetto dei comportamenti che prescrive il codice della strada nella circolazione stradale ma anche il rispetto delle regole di sicurezza delle infrastrutture su cui i conducenti viaggiano».
Fonte: LA STAMPA