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07 Set 2018

Professione Autotrasportatore: per competere servono preparazione e cultura

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Intervista ad Alessandro Peron, Direttore FIAP.

 

Le imprese di autotrasporto attive in italia sono 87.361 (fonte: Albo Nazionale degli autotrasportatori, aprile 2017), di cui oltre 62.000 con parchi fino a 5 veicoli. Da questi dati emerge la frammentazione delle imprese, ma si evidenzia anche l’importante ruolo che svolgono le piccole e medie aziende, in particolare quelle che sono sopravvissute alla crisi che si è abbattuta come una scure sul comparto, provocando una morìa stimata intorno al 25% del totale.

 

Su questo nocciolo duro di operatori che ha resistito si basa il futuro prossimo dell’autotrasporto, sempre più integrato nella logistica, di cui è spesso protagonista la punta avanzata delle stesse imprese. Per la sopravvivenza e la crescita di queste imprese, oltre alla capacità di competere a livello europeo sarà determinante la volontà di adeguarsi velocemente al sistema di regole che richiedono gli organismi comunitari, facendo crescere una mentalità nuova che investirà tutti gli aspetti dell’attività di autotrasportatore, compreso l’atteggiamento nei confronti della manutenzione e dell’assistenza dei mezzi. Abbiamo affrontato questi argomenti con Alessandro Peron, Direttore della FIAP, associazione storica del mondo degli autotrasportatori, nata nel giugno del 1949.

 

Peron, iniziamo con una fotografia della situazione dell’autotrasporto italiano per quanto riguarda le imprese piccole e medie, secondo il suo punto di vista.

 

“Quando si parla di autotrasporto in Italia ci si trova davanti a una moltitudine di problemi piccoli, mai affrontati in maniera strutturale, che con il passare del tempo sono diventati macigni. Questo è il risultato di una mancanza di attenzione delle istituzioni e del governo verso il settore. I trasporti e la logistica sono ormai un asset fondamentale di un Paese moderno, ma in Italia continua a mancare una strategia che tenga conto del fatto che l’autotrasporto rappresenta, nonostante la mancanza di infrastrutture, i costi delle imprese che lievitano, una burocrazia asfissiante, le accise improponibili, la terza componente del PIL del Paese. Occorre quindi cambiare il paradigma e trattare l’autotrasporto non come un problema ma come un’opportunità. Nel nostro Paese c’è da sempre la tendenza a dividere le imprese per non farle crescere, per logiche corporativiste o per interessi elettorali. Lo sforzo di oggi deve essere quello di aiutare le imprese padronali a crescere e a diventare protagoniste di un mercato che sta cambiando velocemente”.

 

E le imprese hanno l’approccio giusto nei confronti del cambiamento?

 

“In molti casi la risposta è affermativa, ma deve cambiare anche l’atteggiamento di quelle imprese di autotrasporto che si sentono piccole, non importanti e ancora meno valorizzate. Questa mancanza di consapevolezza del proprio ruolo deve finire: oggi le grandi aziende stanno investendo a livello internazionale perché vedono sfide e opportunità della globalizzazione dei mercati, ma il forte tessuto nazionale costituito da piccole e medie imprese di trasporto garantisce flessibilità, competenza e tempestività. Bisogna prenderne coscienza e imparare a “vendere” queste capacità sul mercato. Serve un cambio culturale che non faccia accontentare le nostre aziende di “prendere lavoro” ma le renda coscienti del valore della loro prestazione professionale. Faccio un esempio: da un uomo del Nord Est, sono convinto che il “miracolo del Nord Est” non sia mai esistito, perché per anni abbiamo accettato il ruolo  di “terzisti” della Germania. I genitori dicevano ai figli di “non perdere tempo con la scuola” ma di andare a lavorare. Questo atteggiamento ha pagato nell’immediato, ma non ha fatto crescere culturalmente una generazione di imprenditori e manager che avessero visione e che fossero in grado di reagire ai momenti difficili.

 

Così quanto la crisi è arrivata ha colpito duramente il tessuto delle imprese, che spesso hanno dovuto cedere a imprenditori nuovi e non di rado stranieri. Ognuno ha i suoi skill e le sue capacità e lo studio serve a valorizzarle e imporle sul mercato”.

 

Come si fa ad attivare la crescita e soprattutto come si ottiene il cambio culturale?

 

“Ci vuole tempo. Le imprese devono tornare a fare lobby, una lobby positiva che metta in evidenza il valore dell’autotrasporto nazionale e suggerisca al governo la via per fare crescere il Paese anche attraverso una politica dei trasporti attenta a cogliere le opportunità. Questo per le imprese potrebbe voler dire eliminare qualche funzionario, essendo meno apparato burocratico, ma ritornare padroni del proprio destino. Credo che sia il momento giusto: c’è molto da fare, ci sono grandi novità e la stessa politica insegna come lo scenario possa cambiare in modo repentino. Magari tra 10 anni  in Italia non ci saranno 90mila imprese di autotrasporto ma 40mila, sempre con una forte presenza dei padroncini inseriti, però, all’interno di organizzazioni strutturate e in grado di stare sul mercato perché gestite in modo manageriale. Se questo non accadrà , i padroncini scompariranno e il sistema perderà in flessibilità”.

 

Quale sarà l’effetto delle normative europee e dei relativi controlli sulle imprese di trasporto?

 

“Viviamo in una comunità di Stati ed è giusto che l’Europa decida anche per noi: ben vengano, infatti, regole che rendono uniformi i mercati. Anche in questo caso serve però un cambio culturale da parte delle aziende. Per esempio, se durante una giornata di lavoro un autista deve guidare non più di 9 ore, senza tenere conto dei bonus, prima di iniziare il riposo e invece guida 9 ore e 1 minuto entrerà in sanzione. Noi latini fatichiamo a considerare che 5 o 10 minuti siano passibili di sanzione, figuriamo un solo minuto! Ma stare in Europa significa anche questo e le nostre aziende si devono adattare. Le regole devono essere vissute come una grandissima opportunità, perché serviranno a differenziare le aziende strutturate e virtuose da quelle che non lo sono. gli autotrasportatori potranno finalmente differenziarsi e mettere sul tavolo il loro valore aggiunto. Anche gli autisti dovranno essere professionisti a cui non si chiederà più soltanto di sapere guidare, ma dovranno avere anche altre competenze e per i giovani si apriranno nuovi e interessanti scenari lavorativi”.

 

In proposito è stato varato l’anno scorso il Progetto Conducenti con il supporto del Ministero e dell’Albo. Come valuta l’iniziativa e quale sarà il futuro ai tempi della guida autonoma e con l’avvento del platooning?

 

“Si è trattato di un primo tentativo, si può fare meglio ma è stato importante iniziare. Ora però tocca alle imprese e anche ai giovani neoconducenti impegnarsi per il successo dell’iniziativa, ciascuno per la propria parte e oltre il gioco dei ruoli. In fondo impresa, autista e committenza hanno tutti la stessa necessità: portare un carico a destino nella massima sicurezza. Un autista che non si comporta secondo le regole non è solo un problema dell’impresa per cui lavora, è un problema sociale, ma tutto ciò che gira intorno al trasporto merci e alla logistica è un tematica sociale. Infatti i giovani non vogliono fare l’autista per un problema di immagine, il camionista con la canotta unta di macchie d’olio, che tra l’altro non rispecchia più da tempo la realtà, ma disdegnano anche il lavoro di magazziniere o di responsabile del traffico. Questo fa capire quanto i giovani e l’avvicendamento generazionale siano temi decisivi per incrementare la competitività delle aziende di trasporto ma anche per fare cultura sull’autotrasporto e la logistica, mondi che sono già proiettati nel futuro. In quest’ambito si collocano anche le innovazioni relative ai sistemi di guida autonoma e al platooning. Ben venga l’innovazione, purché regolamentata e inserita in una strategia globale. Altrimenti si rischia che il cambiamento tecnologico sia fonte di sfruttamento e di comportamenti fuorilegge che generano anche situazioni di concorrenza sleale tra le imprese”.

 

Che rapporto esiste tra gli autotrasportatori e l’assistenza del mezzo?

 

“Credo che occorra partire dal tema della sicurezza stradale che coinvolge tutti. Per garantire un alto livello di sicurezza sulle strade bisogna manutenere correttamente i camion. Sappiano che in Italia il parco circolante è piuttosto datato, quindi manutenzione e assistenza dei mezzi diventano argomenti molto sentiti anche dalla committenza. Di conseguenza, anche il post vendita deve evolvere il suo ruolo ed erogare servizi proattivamente. A seguito delle normative che accompagnano il tachigrafo digitale, ad esempio, le officine possono diventare il punto di riferimento delle imprese anche per una serie di adempimenti per cui le realtà piccole e medie difficilmente sono strutturate. In questo modo l’officina diventa l’angelo custode dell’autotrasportatore oltre che del mezzo. La grande impresa di trasporto strutturata deve invece preoccuparsi del padroncino e fare in modo che sia in regola. Questo ruolo è fondamentale, perché c’è bisogno ancora di tanti padroncini. Tutto l’autotrasporto, poi, deve trarre il massimo beneficio dall’informatica che diventerà sempre più importante per il settore. E siccome anche l’informatica è una scelta strategica dell’azienda, è inutile comprare software che ogni 2 o 3 anni vanno cambiati, bisogna invece imparare a scegliere il partner informatico giusto. L’informatica, inoltre presuppone che gli addetti la sappiano usare e quindi entra in campo la capacità di utilizzo e di conseguenza la formazione”.

 

Peron, quali sono in breve gli obiettivi della FIAP? 

 

“La nostra Associazione, di cui è presidente Massimo Bagnoli, e segretario Silvio Faggi, compierà 70 anni nel 2019. La nostra storia va a braccetto con tutto lo sviluppo dell’Italia e con le nuove sfide di domani. Il nostro obiettivo è ora quello di costruire un paradigma nuovo che aiuti le imprese a cambiare il rapporto e le dinamiche con la committenza, che deve essere considerata un alleato e non un nemico. La nostra fortuna è quella di essere indipendenti e il cambiamento deve iniziare dal basso attraverso la presenza sul territorio, la vicinanza alle aziende, la partecipazione alla vita associativa. Insomma, parlare poco e fare tanto”.

 

 

Fonte: FIAP

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