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16 Mar 2021
MILANO - La riqualificazione dei rider "come lavoratori cosiddetti etero-organizzati non può essere presa in considerazione", perché "non sono state adeguatamente considerate le caratteristiche del modello di business di Glovo". Giovedì aveva fatto la prima mossa Just Eat; ieri anche la piattaforma di delivery spagnola Glovo ha depositato formalmente il ricorso all’Ispettorato del lavoro di Milano, contestando i verbali consegnati lo scorso 23 febbraio nell’ambito degli accertamenti su contratti e condizioni di lavoro dei rider.
Non solo: la stessa strada è stata seguita pure dalle altre due aziende finite nella bufera, Uber e Deliveroo. La mossa apre la strada a una battaglia legale basata su un concetto cardine. I colossi del delivery hanno rispettato le leggi italiane sul lavoro? No, secondo l’Ispettorato, che ha messo sotto la lente le piattaforme: le posizioni dei rider vanno regolarizzate, da autonomi a "coordinati continuativi" con le garanzie dei subordinati. E le aziende devono sanare le posizioni, sul fronte soprattutto dei contributi, di rider che hanno lavorato dal 2017.
Glovo, invece, sostiene di "aver ottemperato agli obblighi previsti per i lavoratori autonomi secondo la normativa applicabile nel periodo di riferimento" fino a ottobre 2020, quando è entrato in vigore il nuovo contratto nazionale - contestatissimo dai sindacati - siglato da Assodelivery e Ugl. Una posizione condivisa anche dalle altre piattaforme. Gli interessi sul tavolo sono imponenti. Solo Glovo conta 10mila rider attivi e oltre 15mila esercizi commerciali partner in Italia. Poi c’è l’inchiesta pilota aperta a Milano, con il procuratore Francesco Greco, che ha speso parole forti parlando di 60mila lavoratori "schiavi" in Italia. Leggi tutta la notizia
Fonte: IL GIORNO