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31 Mar 2017

Camionisti schiavi: tre anni ai titolari

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Costringevano gli autisti, dietro minaccia di licenziamento, a lavorare anche 15 ore al giorno.

 

MILANO - Schiavi moderni in cabina di guida. E padroni ora condannati a tre anni di reclusione. «Gli autisti erano costretti, dietro minaccia di licenziamento se non si fossero adeguati, a tollerare degli orari massacranti che superavano anche le quindici, sedici ore giornaliere, mediamente lavoravano 14-20 ore per cinque giorni alla settimana». E il sabato, niente riposo: «Erano costretti ad essere presenti in azienda per provvedere al lavaggio del mezzo loro affidato». Così, secondo il tribunale, andavano le cose nella ditta di autotrasporti LTM srl. di Arconate, alle porte della metropoli, dove padre e figlio Maurizio e Massimiliano Moreschi avevano, secondo il giudice, instaurato tra i dipendenti una sorta di regime del terrore.

 

E non si fidavano di nessuno. «Era fatto divieto a tutti gli autisti di fare qualsiasi tipo di pausa - si legge nella sentenza - sottostando a costanti controlli dei loro movimenti in tempo reale grazie alla predisposizione di apparati gps posizionati su tutti i camion».  Alla faccia della privacy: «Tutti erano immediatamente rimproverati in caso di soste non previste, anche nel caso in cui la sosta fosse connessa a bisogni fisiologici». Per convincere il padrone di essere proprio in bagno, l’autista doveva posizionare il cellulare vicino allo sciacquone e dopo aver fatto quel che doveva ricordarsi di far sentire all’interlocutore il rumore dell’acqua che scorreva. Invece di una sanguinosa rivolta degli schiavi, la vicenda ha prodotto un processo penale che ha visto sul banco degli imputati i due Moreschi, amministratori di diritto o di fatto della ditta LTM srl, accusati dal pm Maura Ripamonti di violenza privata per le vessazioni appena descritte, ma anche di aver imposto agli autisti di violare le norme sulla sicurezza del lavoro utilizzando una seconda “card” personale, come se a bordo ci fosse stato un collega che consentisse loro di mettersi a riposo (mentre in realtà erano soli e continuavano a guidare). E, terza accusa, aver costretto i conducenti anche a raggirare il cronotachigrafo del loro mezzo mettendolo sulla posizione di “riposo” quando non erano alla guida ma lavoravano eccome, sia pure a terra in altro modo.

 

Tutte imputazioni che il tribunale ha ritenuto provate. «È emerso in modo univoco che la gran parte degli autisti della LTM omettevano di collocare impianti diretti a prevenire gli infortuni sul lavoro, in particolare era imposto loro di utilizzare accorgimenti e/o dispositivi che eludessero la corretta registrazione dei dati sui dischi cronotachigrafi, occultando in tal modo il mancato rispetto dei periodi di riposo». «Se fai così hai il lavoro, se no il lavoro non c’è», era la minaccia più frequente riferita dagli autisti testimoni nel processo. «Se fai così, bene, se no quella è la porta». Alla fine il giudice Carmen D’Elia ha inflitto due anni e quattro mesi al figlio Moreschi e tre anni e mezzo di reclusione al padre, il vero padrone.

 

 

Fonte: IL GIORNO

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