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21 Mag 2018

Vino, il valore aggiunto del marketing e della logistica

Sandro_BoscainI_presidente_Federvini

 

Sandro Boscaini, presidente Federvini, presidente Masi Agricola.

 

Logistica, marketing, ricerca&sviluppo,servizi post-vendita,design, qualità, reputazione: secondo Mediobanca le fasi produttive che creano più valore nella filiera produttiva del vino sono quelle prima e dopo la produzione fisica vera e propria, dai vigneti al vino. Sono i risultati dello studio che Mediobanca presenterà domani 22 maggio all'assemblea di Federdvini.

 

La crescita di valore è considerato l’obiettivo per uno sviluppo dell'intero comparto. Se ne parla da tempo, ma cosa significa esattamente? Non rischiamo di spingere sulle attività non propriamente da vignaioli, con il rischio di una "industrializzazione" del settore anziché di una maggiore enfasi sulla qualità e territorialità,ovvero quelle caratteristiche che rendono più competitivi i vini made in Italy? Se seguiamo solo le logihe del Roi, ritorno sul capitale, non rischiamo di essere sopraffatti dai big stranieri?

 

Oggi la cosiddetta ‘terziarizzazione della manifattura’ – in un contesto di eccellenze – è ciò che fa la differenza", afferma Sandro Boscaini, presidente di Federvini, presidente dell'Azienda Agricola Masi. Spiega Boscaini:"I servizi riguardano le attività a monte,(progettazione, indagine di mercato, capacità di intercettare e anticipare le esigenze del consumatore, R&D, attenzione alla logistica delle materie prime-  e quelle a valle, marketing, servizio post-vendita, modularizzazione/personalizzazione del prodotto, potenziamento della brand awareness e del contenuto aspirazionale del consumo, logistica del prodotto finito.

 

Grazie a questi trigger di valore, l’industria del vino italiano come rileva Mediobanca, ha in cinque anni superato la redditività del settore alimentare, a 8,7 contro 8,2. Questo valore è originato, in gran parte, dal rapporto tra Margine Operativo Netto (MON) e Valore Aggiunto che oggi ha raggiunto il 44% contro il 30,6% del food nel suo complesso. Questo significa che il settore ricava valore aggiunto dalle vendite, grazie alla capacità di fare leva sul valore iconico dei prodotti vitivinicoli italiani.  I dati di una recente ricerca Nielsen sono paradigmatici - prosegue Boscaini  -L’Italia è in coda ai paesi UE nel consumo di alcol in generale, mentre trionfa lo stile mediterraneo fatto di convivialità e di accompagnamento al cibo anche tra i millennial: questo dimostra come anche da un punto di vista imprenditoriale sia venuto il momento di ragionare in modo strutturale in termini di filiera allargata: non solo vino, spiriti e aceti ma anche cibo, turismo, arte ed ambiente. Dobbiamo infatti mettere a sistema tutte le voci del nostro patrimonio culturale rendendole un unicum e ridisegnando il sistema delle priorità a livello nazionale: è ormai prioritario e non più procrastinabile mettere in un unico contenitore i diversi progetti, facendo ruotare intorno ai nostri settori e all’agro-alimentare nel suo complesso, il patrimonio artistico, archeologico ed ambientale”.  

 

L’applicazione di questo modello implica però, in un contesto come quello attuale, dei costi di struttura e un capitale investito ragguardevoli, tanto è vero che il rapporto tra valore generato in azienda e il capitale necessario per generarlo resta penalizzante nel vino rispetto al food (18,5% contro 22,5).  Eppure, non si può non puntare oggi su quei servizi fino a pochi anni fa definiti accessori. Da un lato è possibile ipotizzare di scorporare la proprietà dei terreni dalla parte industriale e commerciale; dall’altro ‘alleggerire’ il magazzino, considerandolo non come idrovora di liquidità ma come asset strategico soprattutto nella fase di lavorazione (invecchiamento).  In tal senso, una collaborazione maggiormente tailor made con il sistema bancario - warrant o certificati en primeur, acquisti a fermo da parte di piattaforme logistico-commerciali – potrebbe essere una soluzione che garantisce qualità e valore attraverso una verticalità ad assetto variabile.
Da questo punto di vista Boscaini è una case history:  non è un semplice produttore, è  stato anche un pioniere nell'individuare strumenti finanziari e manageriali che gli consentissero di far crescere l'azienda senza venire meno all'impronta "artigianale" e territoriale che il vino di qualità richiede. Primo a utilizzare la leva del private equity per risolvere anche problemi legati alla ripartizione delle quote di famiglia tra gli eredi, tra i primi a quotarsi in Borsa itlaiana nel segmento Elite. 

 

Il vino è uno degli asset chiave della nostra economia, e l'export fa bene alla nostra bilancia commerciale. Ma i punti di debolezza sono ancora tanti, e prima si interviene meglio è.
L’export cresce e  i grandi produttori realizzano oltre confine oltre il 55% delle proprie vendite, con punte che arrivano a toccare il 90%, ma assistiamo a uno sbilanciamento evidente su alcuni mercati. Secondo Mediobanca, l’Italia ha infatti un indice di concentrazione nei primi paesi di destinazione di 1.108 in confronto a 730 della Francia, 711 del Cile e 632 della Spagna. Cosa significa; che i paesi a maggiore diversificazione geografica hanno una maggiore capacità di bilanciare i fatturati in vista di potenziali eventi avversi, come la guerra dei dazi, la Brexit. Non basta: nei mercati in cui l’Italia è più presente, il prezzo del prodotto è mediamente più basso rispetto ai mercati secondari.  Secondo le stime di Nomisma sia per i bianchi fermi sia per i rossi fermi il prezzo medio italiano è più basso rispetto ai vini di Francia (2,8 euro a litro contro 4,69 sui bianchi; 4,37 vs 5,36 sui rossi) e anche rispetto a quelli della Nuova Zelanda (4,93 a litro per i bianchi e 7,71 per i rossi). Ci si aspetterebbe il contrario: ovvero uan concentrazione dovuta al fatto che si insiste sui mercati dove si vende meglio. L'attaccamento ad aree più circoscritte riflette invece altre problematiche: risulta per esempio che i nostri produttori non si avventurano ad esplorare aree geografiche più eccentriche, più rischiose ma anche a tasso di sviluppo potenziale maggiore, come il Sud America, l'Africa Australe, il Sud Est Asiatico e l'Oceania. Eppure, sempre secondo Mediobanca, la redditività delle imprese italiane che hanno saputo presidiare mercati geograficamente e culturalmente lontani è sistematicamente superiore a quella delle imprese che hanno preferito accontentarsi dei più confortevoli mercati di prossimità.

 

Non solo mercati, ma anche prodotti.  "Il tema della diversificazione non riguarda solo l’ambito geografico ma anche i prodotti” spiega Sandro Boscaini-. “Oggi assistiamo al trionfo delle bollicine su scala mondiale. È proprio in questa fase che dobbiamo essere particolarmente bravi e utilizzare il Prosecco come punta di diamante sui mercati più lontani o più ostici, facendo da apripista e senza indurci nella tentazione del mono-prodotto”.
 

“Non si tratta di trascurare il core business legato alla produzione per concentrarsi solo sui servizi di supporto” ha continuato Boscaini “ma è certo che oggi il vino, pur restando una delle massime espressioni del settore agroalimentare, deve essere gestito diversamente dagli altri prodotti agricoli: trovare quindi un equilibrio tra le diverse fasi del ciclo di vita del prodotto/azienda è prioritario. Non si può continuare nel paradosso dell’eccesso di richieste di autorizzazioni all’impianto". 
Questo giusto bilanciamento può essere raggiunto se si inizia a ragionare in termini dimensionali. Il mondo del vino non fa eccezione rispetto al resto dell’industria italiana: il mercato italiano, secondo a valore dopo la Francia, conta solo su due top player (pari al 6,3% del valore della produzione complessiva contro il 10,2% della Francia e il 31% della Spagna).
 


“Diversificare, puntare a strutture più snelle e ragionare in chiave di sistema con modelli imprenditoriali che siano al contempo saldi e flessibili”conclude Boscaini. “Solo così saremo pronti alle sfide del futuro prossimo con prodotti di valore e con una precisa identità”, entro il 2025 la Cina diventerà il secondo mercato mondiale dietro gli Stati Uniti con 13 miliardi di dollari superando Francia e Germania; a valore sarà sempre la Francia a primeggiare ma la Cina raggiungerà il quarto posto assoluto dietro a USA, Italia e Spagna. Nell’export Francia e Italia sempre sugli scudi con 16 miliardi di dollari e 11 miliardi.
 

 

 

Fonte: LA REPUBBLICA

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